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La morte e risurrezione del Signore in questo periodo quaresimale e pasquale ci pone gli interrogativi più inquietanti: che senso hanno la vita e la morte. L’uomo è una realtà storica, vive nel tempo. Vive il presente come momento reale della sua coscienza e libertà; si rivolge al  passato per comprendere tutto ciò che per lui è una ricchezza,  che costituisce il suo valore e per proiettarsi nel futuro;  si protende al futuro per cogliere il significato del passato e del presente. 

Il futuro, il non-ancora, è per l’uomo la dimensione più  radicale perché condiziona le scelte, determina le sue realizzazioni. L’avvenire è stato sempre il banco di prova per tutte le ideologie, per tutte le speranze, per tutti gli ideali. Esso esercita una contestazione di tutti i miti, degli assoluti che l’uomo o la società può crearsi nel presente.

La morte, naufragio della vita?

Che cosa sarà l’uomo dopo la morte? E’ il problema fondamentale dell’esistenza. Il futuro può recuperare l’apparente fallimento dell’esistenza oppure ratificarne la sua inconsistenza e vanità? Se la vita presente è tutto, se non c’è speranza oltre la morte, è chiaro che è perso tutto e definitivamente. Non c’è progetto che possa imporsi, se tutti hanno un termine che li livella.

Il progresso sembra  avere uno smacco fatale e definitivo, se si conclude nel nulla della morte. L’impegno, il lavoro, la gioia hanno un valore se con essi avviene una nostra realizzazione. Ma se con la morte tutto finisce e noi non possiamo goderne, non possiamo sederci alla mensa per cui ci sacrifichiamo tutta una vita: tutto sembra avere una inconsistenza radicale.

Se il dialogo d’amore con le persone finisce per sempre, l’amore non è più il fulcro della vita dell’uomo, ma semplicemente una cosa tra le tante. Gesù dà una risposta in diversi passi del vangelo, in particolare quando i Sadducei gli chiedono il senso di ciò che è per l’uomo essere al mondo.

Un Dio vivo per uomini vivi

La risposta è categorica: ogni soluzione sarebbe precaria e sarebbe continuamente smentita se Dio non amasse davvero il mondo. Il suo amore sarebbe una illusione se ci venisse a mancare nel momento della nostra salvezza. Non potrebbe chiamarsi Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e dei tanti che ci hanno preceduto, se questi non fossero più che un nome vano. Se Abramo fosse morto definitivamente mentre Dio si proclama suo salvatore, questa salvezza sarebbe una delusione.

La rivelazione di Cristo appare dunque fondamentale  riguardo a questo tema. Dio è un Dio vivo per uomini vivi. E’ la sicurezza della nostra vita oggi. Da questa certezza nasce la gioia e la pace. La vita non fallisce perché è salva dalla morte. Dio stesso darà compimento all’impegno dell’uomo nella storia al di là della storia, al di là della morte, la quale non è limite ma la manifestazione, l’inizio della definitività di ciò che si è realizzato e a cui Dio ha fatto il dono del compimento.

Per noi che viviamo è difficile immaginare una vita definitiva. Ma noi l’attendiamo con speranza da Dio che davvero ci ha amati e ci ha promesso una consolazione eterna e una speranza felice.

Oggi molti faticano a credere nell’al di là. Ciò è dovuto da una parte  alla critica marxista che vede nell’attesa della vita eterna una evasione dalla responsabilità di trasformare questo mondo, dall’altra alla civiltà del benessere tutta tesa a proporre una edonistica felicità in questo mondo. Noi cristiani siamo testimoni della resurrezione: dicendo che il nostro Dio è il Dio dei vivi e non dei morti, noi facciamo un’affermazione che non riguarda solo l’aldilà, ma anche il presente.

Dio dei vivi, di chi già oggi è veramente vivente, impegnato fino in fondo nella vita per migliorare la situazione della umanità. Vita che non può finire perché è la stessa vita di Dio, vita che quindi continua al di là della morte fisica. E’ questo il messaggio fondamentale della Pasqua del Signore. Auguri a tutti di buona Quaresima e buona Pasqua!

Don Pietro Diletti sdb, Parroco